Fantasmi della rete – Unità 731 – Angoscia

19.

Uscita dall’ufficio di Conti si diresse con un taxi verso l’hotel che la ospitava. Entrò nella sua stanza, era ancora angosciata, non riusciva a togliersi le parole di Conti dalla testa. Dei ragionamenti così semplici eppure così disarmanti, nessuno le aveva mai parlato così. Era così convinta e piena di sé che non si era mai nemmeno posta il problema di qualcosa di più grande di lei. Non credeva in niente, era come una scatola vuota, non credeva in Dio ma non credeva nemmeno agli ideali della 731, era per questo che si sentiva così vuota. Le mancava uno scopo nella vita. Le parole di Leonardo gliel’avevano fatto capire. Si tormentava perchè sapeva che ormai era diventata parte di un sistema da cui non poteva uscire. Se fosse tornata libera che cosa avrebbe fatto? Non aveva dei veri obiettivi, non aveva dei veri ideali, era solo un involucro vuoto.

Una nuova sensazione si fece spazio nella sua mente. Invidia. Invidia di chi ha qualcosa per cui combattere, invidia per chi ha un’ideale per quanto sbagliato o irrazionale possa essere. Non poteva essere stata così stolta. Questi suoi ultimi anni l’avevano disumanizzata, non era più una donna, era un robot che eseguiva gli ordini.

Andò in bagno. Si guardò nell’ampio specchio vicino al lavandino: era bellissima come al solito…tanto fuori e nulla dentro. Prese la borsa e ne estrasse una boccetta di plastica. Ormai la guardava sempre più spesso, una sola pastiglia e tutta la sua sofferenza sarebbe finita. L’ultima volta si era trattenuta perché voleva conoscere Leonardo, voleva capire perché Ebola lo stimasse tanto, e adesso l’aveva capito, era solo un ragazzo ma aveva dei principi, non scendeva a compromessi. Chissà se avrebbe accettato la sua offerta.

Questi pensieri la trattennero ancora una volta, la possibilità, se pur remota, di poter lavorare fianco a fianco con persone come Ebola e Leonardo, persone forti, la faceva sperare.

La sua depressione aumentava di giorno in giorno, era come una prigione che si rimpiccioliva sempre di più e lei era dentro e non poteva scappare. Aveva tutta la notte davanti, notte che avrebbe passato in bianco rimuginando su quello che aveva detto Conti.

20.

La stanza era immersa nella penombra. Uno spiraglio di luce entrava nella grata posta in alto a destra. I quattro metri quadri che aveva a disposizione erano appena sufficienti per farci stare una branda.

Un piccolo foro in un angolo fungeva da servizi igenici.

Lì, in una prigione poco lontana da Pechino, si trovava il miglior hacker del mondo. Seduto sulla branda con i gomiti appoggiati alle gambe che sostenevano il viso rifletteva su quanto fosse avvenuto prima del suo arresto.

S1b1ll4 l’aveva fatto seguire e poi l’aveva denunciato alla polizia cinese. Volevano solo fargli vedere quanto erano potenti e influenti. In poche mosse erano riusciti a sconfiggerlo. La cosa che più lo preoccupava però era il trattamento che gli era stato riservato: mangiava decentemente e non gli mancava nulla. L’avevano portato lì senza nemmeno arrestarlo ufficialmente, prendendo impronte digitali o dati anagrafici. L’avevano catturato e basta. Questo voleva dire solo una cosa: la setta era molto più potente di quello che si aspettava, le informazioni che giravano tra gli hacker erano errate. Aveva veramente di fronte un colosso. Ora non poteva fare altro che aspettare; sicuramente si sarebbero messi in contatto con lui in qualche modo. Avevano bisogno di lui, che era il migliore del mondo, non potevano permettersi di farlo marcire in galera. Di sicuro si sarebbero fatti vivi, il problema era quando.

Ebola non dovette aspettare a lungo. Infatti dopo appena qualche decina di ore da che era stato rinchiuso vide una figura stare davanti alla sua cella e guardarlo. Si girò di scatto e riconobbe Z3u5.

“Salve Ebola, come va? Il soggiorno è di suo gradimento?”

“Tieniti la tua ironia…sarete contenti di avermi fatto rinchiudere…”

“Il potere del denaro, quante cose si possono fare quando hai a disposizione un po’ di bigliettoni…”

“Che cosa volete?”

“La stessa cosa dell’ultima volta che ci siamo incontrati, unisciti a noi!”

“Allora siete recidivi! Le mie condizioni sono le stesse, non mi interessa di stare rinchiuso qui…io non mi piego né a te, né alla tua…setta…”

“Le tue condizioni…in questo preciso istante c’è un nostro collaboratore che sta convincendo il tuo amico Leonardo Conti a far parte della nostra organizzazione, il successo è garantito perché lei non ha mai fallito una missione.”

“S1bill4!”

“No, C4ss4ndr4…ti ricordi la ragazza indiana…bella eh?”

“Ah…covate tutte serpi nel vostro seno…”

“Io non la definirei una serpe, lei è molto più raffinata di S1b1ll4, servono per scopi diversi ma sono entrambe molto efficaci. Comunque ti lascio un giorno per decidere, domani a quest’ora tornerò e ti darò l’ultima possibilità, magari ti dirò anche cosa è capitato al tuo amico Conti. Stammi bene, a domani.”

Z3u5 se ne andò lasciando Ebola da solo a pensare. Anche Leonardo era stato contattato, ma quanto era grande questa setta? Pechino, Hong Kong, Torino e chissà in quante altre città e nazioni si diramava. L’indecisione cominciò a farsi largo nella mente dell’hacker. Da un lato sapeva che se Conti avesse accettato avrebbe avuto le mani legate, perché davanti a testimoni aveva detto che sarebbe entrato a patto che ci fosse anche Conti, dall’altra però il suo orgoglio non gli permetteva di giurare fedeltà a qualcuno che non fosse se stesso.

La situazione si stava facendo piuttosto spinosa, doveva riflettere bene perché una volta entrato a far parte dell’organizzazione non ne sarebbe mai più uscito…se non cadavere…non voleva finire la sua esistenza dietro una scrivania alle dipendenze di chicchessia. Doveva escogitare qualcosa, ma era in trappola, non poteva nemmeno mettersi in contatto con Leonardo e metterlo in guardia. Era una mossa che avrebbe dovuto fare prima.

Si convinse di essere stato uno stupido, il suo orgoglio gli aveva fatto fare un sacco di sbagli, se fosse stato più modesto a quest’ora non si sarebbe trovato in galera. Ormai era inutile star troppo a rimuginare, non poteva piangere sul latte versato. Doveva trovare una soluzione, in fretta.