Fantasmi della rete – Unità 731 – L’attentato

35

Leonardo si svegliò intorno alle sette, si lavò e si vestì con una delle solite divise nere che c’erano nel cassetto. Uscì e si diresse verso la mensa per la colazione.
Arrivato nell’enorme stanzone semivuoto trovò pochissime cose di suo gradimento. Il caffè era servito in tazze enormi, non c’erano dolciumi ma solo uova, bacon, burro di arachidi e pane abbrustolito. Non era certo una colazione all’italiana.
Conti si buttò sul pane, ne prese due fette e se ne tornò al suo garage. Lavorò con costanza per quasi tutta la mattina, pulì le auto, l’officina, catalogò parte delle numerose chiavi presenti nel garage, alcune delle quali non conosceva nemmeno per nome. Verso le 11 arrivò una visita.
“Lavati e cambiati. Fra mezz’ora arriverà Z3u5. Lo devi accompagnare a fare delle commissioni in città.”
Era lo stesso tizio che l’aveva portato lì, un energumeno alto e tozzo che sembrava non avesse sentimenti. Non rivolse nemmeno un saluto e così come era arrivato, se ne andò.
Conti andò verso il suo ufficio/stanza, si fece una doccia e si mise degli abiti puliti, uguali a quelli che aveva prima. Pantaloni neri e maglietta nera con il simbolo della fiamma con l’elettrone della Pirotech.
Z3u5 non si fece attendere. Dopo mezz’ora entrò nel garage.
“Sei pronto?” chiese a Leo che stava uscendo dall’ufficio
“Sì. Quale macchina vuoi prendere?”
“Prendiamo l’Audi…qualcuno mi ha detto che ne sei entusiasta.”
“Diciamo che non vedo l’ora di guidarla.”
“Bene, metti in moto. Ti aspetto qui fuori.”
Leo non poteva credere a quello che stava per fare entrò nella macchina e si sedette nell’abitacolo; toccò il pomello del cambio con una mano, il volante con l’altra. Era un sogno. Finalmente qualcosa di piacevole in questo sporco lavoro.
Accese la macchina e tutto prese vita. I due display nel cruscotto e il navigatore GPS si attivarono. Il rombo degli otto cilindri non si sentiva nemmeno, la macchina era silenziosissima.
La serranda del garage si apri quasi miracolosamente, evidentemente aveva un sensore per i fumi, ma in quel momento a Conti non importava nulla. Ingranò la prima toccando semplicemente il cambio e spingendo in avanti, la macchina sembrava camminare nell’olio, niente strattoni in una progressione perfetta. Leo era abituato ad aver a che fare con i duecentosessanta cavalli della sua S3 ma questa ne aveva centosessanta in più quindi viaggiava cauto.
Si fermò subito dopo la serranda del garage e Z3u5 entrò dal lato passeggero. Senza dire nulla impostò la destinazione sul navigatore e fece cenno di partire.
La ridente George Town non sembrava una città tropicale, anzi, era avanzata come tutte le moderne metropoli. Si notavano diverse banche dove, come risaputo, erano custoditi i soldi sporchi di tutto il mondo. Le Isole Cayman erano uno degli ultimi paradisi fiscali. Le banche non facevano domande, prendevano i soldi e basta, mantenendo una segretezza praticamente assoluta. Leo aveva già avuto a che fare con una di queste banche, quando in precedenza si era occupato del caso Bianco.
Seguì le indicazioni del navigatore fino ad arrivare ad una piazza. Z3u5, che non aveva detto una parola, fece cenno di accostare.
Fermò la macchina, il capo della setta scese e si avviò in direzione di quello che sembrava un istituto di credito. Era vestito in maniera insolita. Con un vestito nero e la camicia bianca.
Come al solito il simbolo della Pirotech brillava attraverso una spilla d’oro che lo rappresentava appesa nel risvolto della giacca.
Leo approfittò di quell’attimo di quiete per scrivere su un foglio, che aveva trovato in macchina, tutte le sue impressioni sulla setta. Purtroppo non aveva scoperto ancora nulla di significativo ed Ebola ancora non gli aveva detto come era andata la sua incursione notturna.
Dopo una decina di minuti Z3u5 uscì dalla banca e si avviò verso la macchina, salì e si accomodò. Leonardo accese la vettura ma ad un tratto si sentì un colpo e Leo vide un grosso bozzo sul parabrezza. Era un colpo di pistola.
“Parti dannazione! Ci stanno sparando!”
Leonardo ingranò la prima e facendo stridere le gomme partì a tutta velocità. Si sentì un altro colpo che bucò la portiera del lato passeggero. A giudicare da dove mirava chi stava sparando ce l’avevano con Z3u5. La macchina in un breve tragitto arrivò a centocinquanta chilometri all’ora ma, prima di un semaforo, Conti dovette rallentare e girò lo sterzo, in quell’attimo si sentì un altro colpo che finì nella ruota posteriore che esplose, la macchina perse aderenza e girò su se stessa di centottanta gradi.
Il tizio era davanti a loro con in mano una pistola calibro dodici.
“Stai giù!” urlò Leo a Z3u5 che si rannicchiò sotto il sedile “Ma perché mi devono sempre sparare addosso?” continuò parlando da solo.
“Cosa facciamo?” chiese Z3u5
“Non so.”
Si udì una voce che proveniva da fuori l’abitacolo.
“Z3u5! Non fare il coniglio…padre degli dei…vieni fuori!”
“Evidentemente vuole te.”
“Conti…non fare lo spiritoso…”
“Ok, io scendo e provo a parlarci…se vuole te, non dovrebbe sparare a me…”
“Ma ti ha dato di volta il cervello?”
“Senti, se quello continua a sparare alla macchina finisce che diventiamo due hot dog bruciacchiati…”
Leo aprì la portiera e scese protetto dalla stessa alzò le mani e tirandosi su lentamente guardò in faccia colui che aveva la loro vita in mano. Sembrava una brava persona, un normalissimo padre di famiglia, non aveva la faccia dell’assassino o del criminale.
Erano praticamente in mezzo alla strada ma non passava nessuno, tutti si erano volatilizzati, Leonardo sperava che qualcuno avesse chiamato la polizia, in questo modo ogni momento era prezioso, guadagnare tempo senza rimetterci le penne era d’obbligo. Accanto alla strada c’era anche un camioncino dei gelati abbandonato. A quanto pare nessuno aveva intenzione di correre in loro aiuto.
“Scusi…”
“Chi sei tu? Io voglio Z3u5 quel figlio di…”
Tutto ad un tratto dall’abitacolo del camioncino dei gelati comparve una figura indistinta. Conti si girò d’istinto e così fece anche il tizio con la pistola.
Un colpo tuonò nell’aria. Una smorfia di dolore si dipinse nel viso dell’uomo in mezzo alla strada. Una macchia sempre più grossa di sangue si stava formando nei pantaloni all’altezza della coscia. Un altro colpo esplose, stavolta fu il turno della spalla destra, il lato dove era tenuta la pistola, che era rimasta scoperta a causa della torsione avvenuta per il dolore.
L’uomo cadde a terra. In quel minuto un’altra figura comparve da dietro il camion dei gelati che corse verso l’uomo e gli puntò una pistola al viso.
“Fermo! Polizia!”
Un sorrisetto compiaciuto si dipinse nel volto di Leo. Dal parabrezza della macchina spuntò anche la faccia di Z3u5 che, sentendo l’altolà della polizia si era un minimo tranquillizzato.
In pochi secondi i poliziotti riempirono la via e, con la stessa rapidità, la strada si riempì di curiosi.
Il poliziotto che aveva sparato all’uomo si avvicinò a Conti. Un uomo di altezza media, biondino e con una leggera pancetta che spuntava dalla camicia. Portava degli occhiali scuri, oltre alla divisa d’ordinanza. Il viso era decorato da due lunghi baffi. Leo aveva la sensazione di avere già visto quell’uomo, ma non riusciva a ricordarsi dove.
“Sta bene?”
“Sì, grazie. Meno male che siete arrivati voi.”
“Ha corso un grande rischio lo sa?”
“Bhè…pensavo che non mi avrebbe sparato…in fondo voleva Z3u5.”
“Chi è Z3u5?”
Leo si girò verso la macchina. “Quell’uomo dentro la macchina. L’amministratore delegato della Pirotech che si fa chiamare da tutti Z3u5.”
“Ho capito. Penso che sia lei che il signor Z3u5 dobbiate venire con noi in centrale.”
“Non penso ci siano problemi…a parte l’auto danneggiata.”
“La faremo portare via noi. Salga su quella macchina laggiù” disse indicando una berlina nera della polizia vicino alla pozza di sangue lasciata dall’uomo che aveva tentato di ucciderli, che, nel frattempo, era stato portato via da un’ambulanza accorsa sul posto subito dopo che le acque si erano calmate.
Leo si avviò verso l’auto della polizia mentre il poliziotto andava a conferire con l’altro passeggero dell’Audi R8. Entrò e si sedette dietro. Guardando dal finestrino vide Z3u5 che si avvicinava con aria sconvolta. Evidentemente era sotto shock, il sorrisetto spavaldo era scomparso dal suo volto.
Si sedette accanto a Conti, immobile e con lo sguardo perso nel vuoto.
Salirono due poliziotti uno era quello che aveva sparato al criminale, l’altro era un poliziotto enorme alto più di un metro e novanta; dopo aver avviato la macchina, partirono in direzione della centrale di polizia. Durante il tragitto nessuno disse nulla.
La distanza tra la zona in cui era successo il misfatto e la loro destinazione non era elevatissima, infatti dopo una decina di minuti circa l’auto si parcheggiò davanti alla centrale di polizia.
L’edificio era piuttosto spartano, addirittura malmesso. Si trovava in una zona periferica di George Town, se non ci fosse stata una grossa insegna con lo stemma degli sbirri, presente in tutte le divise dei poliziotti, nessuno avrebbe scambiato quell’edificio per la sede centrale dei piedi piatti. Era grigio e malmesso, con poche finestre e, a giudicare dall’esterno, nemmeno molto pulito.
I quattro entrarono nel palazzo dalla porta principale. Subito dopo l’ingresso si trovarono in una piccola hall. Due centraliniste stavano parlando al telefono con le cuffie nelle orecchie e non degnarono i nuovi arrivati nemmeno di uno sguardo.
Si diressero verso un ascensore e salirono al primo piano. Giunsero in un corridoio con diverse porte a destra e a sinistra. Entrarono in una di queste e si trovarono in una stanza nel cui interno era posizionata una panca lungo tutti i muri e, vicino ad un’altra porta, una piccola macchinetta del caffè.
“Si sieda qui.” disse uno dei poliziotti a Z3u5 “prima parliamo un po’ con il ragazzo poi con lei”
L’imprenditore si sedette in una panca, aveva ancora il viso sconvolto ma si stava riprendendo.
Conti e i due poliziotti entrarono nell’ambiente adiacente che era una tipica stanza degli interrogatori: una scrivania, due sedie, una panca e null’altro.
Un poliziotto fece cenno di sedersi.
“Allora Leo…” disse il poliziotto più basso facendo subito dopo una pausa.
“Mi scusi…ma come fa a conoscere il mio nome?”
Lo sbirro si girò, si tolse gli occhiali scuri che nascondevano degli occhi verdi e si staccò i baffi, rivelando che erano finti.
“Tom!” urlò Conti
“Ciao Leo!” I due si abbracciarono