Fantasmi della rete – Unità 731 – Missione

71.

Stavano volando nei cieli della Manciuria. Dopo giorni di preparazione e un piano che era stato definito nei minimi particolari si trovavano lì, a poche centinaia di metri dalla meta.
Erano praticamente invisibili e silenziosissimi. Volavano in quattro deltaplani a motore che contenevano tre persone ciascuno; la grande ala che era posta sopra l’abitacolo, che assomigliava più ad uno scooter che a un velivolo, era di colore nero. I passeggeri erano messi in fila indiana uno dietro l’altro. I motori erano elettrici, quel tipo di modello non poteva percorrere grandi distanze a causa della grandezza delle batterie, ma era indispensabile in voli in cui l’invisibilità era l’obiettivo primario.
Gli apparecchi erano pilotati da quattro membri della squadra di Patterson, loro dovevano fornire supporto esterno ed interno, solamente tre persone, tra cui Patterson stesso, sarebbero entrate insieme alla squadra che si era formata a New York.
Il primo deltaplano conteneva, a parte il guidatore, Bellinger e Loi, il secondo Conti e C4ss4ndr4, il terzo il professor Cecksy e Patterson e il quarto due soldati il cui nome era sconosciuto.
Erano equipaggiati di tutto punto, anche se nei loro piani non erano previsti scontri a fuoco, dovevano entrare, staccare EVA e tornare indietro.
L’equipaggiamento era diverso per tutti. Leonardo portava pantaloni neri e una maglietta nera con sopra un giubbotto antiproiettile. Nella tasca dei pantaloni non mancava il suo fedele coltellino e il taser. Guardando con attenzione il suo orecchio si poteva notare un piccolo auricolare con cui comunicava con Ebola e con Alpha, anche se nessuno ne era a conoscenza. Non aveva nessun microfono addosso perché l’auricolare aveva un microfono integrato che riusciva a captare anche il minimo suono emesso nell’ambiente circostante, tutto quello che sentiva Conti, lo sentivano anche coloro che erano in contatto con lui.
Gli altri membri della squadra erano vestiti alla stessa maniera ma portavano anche armi, tranne il professore, il cui compito consisteva solo nel disinstallare EVA dal suo alloggiamento.
“Ci siamo quasi” disse il pilota del deltaplano di Leonardo “il primo velivolo dovrebbe scaricare i vostri amici tra una decina di secondi”.
Il posto scelto per l’atterraggio era una delle rampe in cui atterravano gli elicotteri privati della Pirotech, era il posto meno illuminato, infatti tutti i fasci di luce venivano proiettati nel terreno circostante lasciando perdere del tutto l’area. L’atterraggio non era dei migliori in quanto il guidatore non si sarebbe fermato bensì sarebbe sceso fino a un metro da terra e a quel punto i passeggeri si sarebbero dovuti buttare.
Vedere la sede cinese della Pirotech creava non poca apprensione al povero Leonardo, il quale non era affatto contento di partecipare a questa missione, che considerava suicida. Sapeva che qualcosa sarebbe andato storto e, anche se sapeva che era in comunicazione con le uniche persone al mondo che potevano aiutarlo davvero, non si sentiva per nulla sicuro. Avrebbe preferito che quello sporco lavoro lo avessero affibbiato a qualche Navy Seal addestrato, non ad uno studente universitario.
Era stata tutta colpa di Ebola, gliela avrebbe fatta pagare prima o poi, ma quello non era certo il momento di pensare alla vendetta. Bisognava portare a casa la pelle.
L’edificio era molto più vasto di come se l’era immaginato. Mentre la sede delle Isole Cayman assomigliava ad una grande L, la sede cinese era formata da un lungo casermone di tre piani pieno di finestre che, assomigliava ad una scuola o a qualcosa del genere, gli ricordava la sede del Politecnico di Torino.
Guardando in avanti vide Bellinger e Conti che saltavano giù dal primo deltaplano: deglutì.
“Ragazzi mi sentite?”
“Forte e chiaro” disse Ebola
“Idem.” disse AlphaCentauri
Erano tutti e tre collegati insieme in una chiamata telefonica satellitare criptata. C’era voluto non poco impegno per riuscire ad avere una comunicazione pulita e sicura che collegasse Italia, Stati Uniti e Cina.
Il velivolo si avvicinò alla pista di atterraggio degli elicotteri e ridusse la velocità al minimo.
“Ora!” disse il pilota ai due passeggeri
Prontamente sia Leo che C4ss4ndr4 si buttarono. La velocità non era eccessiva ma la sensazione era quella di buttarsi da un treno in corsa. C4ss4ndr4 toccò per prima terra e con una capriola riacquistò subito l’equilibrio. Conti non fu tanto aggraziato infatti, non appena toccò il suolo in cemento, inciampò e finì disteso come un sacco di patate.
“Cominciamo bene” disse Tom con un sorriso
“Saltare da un deltaplano in corsa non è certo il mio mestiere” si indispettì Leo.
Aspettarono che tutti gli otto componenti della squadra fossero scesi a terra, a quanto pareva la prima parte del piano era andata a buon fine. La piattaforma era lievemente illuminata da delle luci a neon qua e là, se qualcuno avesse guardato in quella direzione avrebbe notato tutto, ma, ovviamente, nessuno si aspettava nulla del genere.
Una volta che tutti furono scesi, si avvicinarono l’uno all’altro.
“Allora ragazzi. Seguiamo il piano. Gli uomini di Patterson staranno qui a presidiare il posto e ad avvisarci di eventuali pericoli. Gli altri sei facciano quello che sanno.”
Leonardo era il primo a dover entrare in azione, era stato dotato di uno speciale trasmettitore satellitare che doveva collegare a un fascio di fili facente parte del sistema interno di videocamere. Sia Ebola che Alpha potevano vederlo mediante una ricetrasmittente che aveva in corpo.
“Ragazzi siete ancora lì?”
“E chi si muove.” scherzò Ebola
“Fra poco dovrete penetrare nel sistema di telecamere a circuito chiuso. Ripetetemi come faccio per mettere correttamente la ricetrasmittente.”
“Leo avviati verso la porta dell’hangar, dagli schemi risulta che appena fuori dovresti trovare una scatola elettrica, aprila e metti la ricetrasmittente in uno dei fili bianchi che vedrai non appena l’avrai aperta.”
Il giovane seguì le istruzioni. Si avvicinò alla porta, che si trovava a cento metri dal punto dove erano atterrati e trovò immediatamente la scatola elettrica, tirò fuori dalla tasca il coltellino svizzero e usò la lama per forzare gli incastri.
“Qui ci sono una marea di fili: blu, bianchi, rossi e neri.”
“Mettila in uno di quelli bianchi e non richiudere la scatola.”
Conti prese la ricetrasmittente, che assomigliava ad una piccola pinza per capelli, aveva una molla, esattamente come quegli aggeggi che si mettono le donne e quattro piccoli dentini di rame. La aprì con due dita e la serrò in modo che i dentini andassero a pungere un filo collegandosi con il sistema di telecamere.
“Fatto. Dovreste ricevere il segnale.”
“Stiamo ricevendo il segnale…Ebola: ce la fai ad entrare nel sistema?”
“Ehi bellino! Ma con chi credi di star parlando?”
Ebola era sistemato alla perfezione nel motel a Las Vegas. Era davanti allo schermo da ventidue pollici collegato al suo portatile. A destra dello schermo, leggermente spostato di lato si notava un altro schermo da undici pollici con un puntino verde che lampeggiava e una mappa della sede cinese della Pirotech.
“Io sono dentro…oh! Ma che begli interni! Bravo Z3u5!” disse Alpha
“Eccomi qui, ci sono anch’io.”
“Bravo Leo! Ebola, tu occupati di elaborare un percorso e di sabotare il centro di controllo in modo che quelle telecamere non trasmettano immagini e guida Leo, io mi occuperò di controllare dove sono le guardie e di avvertirvi quando sono nei paraggio ok?”
“Ho capito, ho capito…conta che devo anche mettere dentro il virus…non è che posso fare cinquanta cose eh!”
“Non ti lamentare sempre!”
“Ti parlo per la prima volta e già mi stai antipatico.”
“Finitela ragazzi! A dopo i litigi, senza di voi siamo senza speranza.”
Leo si girò verso gli altri e alzò il pollice della mano destra in segno di successo. Mentre era chino sui cavi gli uomini di Patterson si erano già messi in posizione per sorvegliare al meglio la zona e la porta che si trovava di fianco a lui era stata aperta.
“C4ss4ndr4 ora guidaci tu.”
Dovevano scendere di quattro piani per arrivare alla sala controllo dove era tenuto il computer. Varcare quella porta significava iniziare a fare sul serio, una volta iniziata l’operazione doveva essere portata a termine.
L’indiana andò per prima a passo spedito seguita da tutti i suoi compagni. Varcarono un vasto corridoio che portava alle scale di servizio. La ragazza era abbastanza sicura nel dirigere gli altri e non ci furono intoppi fino alla porta delle scale.
“Leo. Non potete passare di lì, c’è una guardia sulle scale. Prendete le scale antincendio”gracchio una voce dall’auricolare.
“C4ss4ndr4 non possiamo passare di lì. Portaci alle scale antincendio.”
“Ok.”
Si mossero silenziosamente percorrendo un altro pezzo di corridoio fino ad arrivare ad una porta contrassegnata come uscita di sicurezza. Ebola stava facendo un buon lavoro con le telecamere infatti non era ancora scattato l’allarme.
Scesero di un piano e Patterson si immobilizzò non appena furono arrivati alla soglia del secondo piano.
“Come da programma io mi fermo qui.”
“Ok. Rispose Tom.”
L’idea era quella di non lasciare scoperto nessun piano della fortezza in maniera da non essere completamente circondati o intrappolati, se c’erano dei movimenti strani, l’incaricato al piano incriminato avrebbe avvisato gli altri.
Gerry si fermò al primo piano. Per andare nel seminterrato dovettero cambiare rampa di scale perché, essendo le scale antincendio si fermavano al primo piano dove c’era l’uscita principale.
Entrarono nell’edificio. Erano le due di notte ora locale e per i corridoi non c’era praticamente nessuno, tutti stavano dormendo.
Percorsero pochi metri e presero un’altra rampa di scale che li portò nel seminterrato. All’entrata anche Tom si arrestò.
“Ora ragazzi siete soli. Fate il vostro dovere e tornate indietro senza intoppi.”
“Speriamo” sospirò Leo
I tre membri rimasti entrarono nel seminterrato dalla rampa delle scale. Si trovarono davanti ad una piccola stanza larga ma cortissima. A destra della porta che dava sulle scale si poteva notare il vano dell’ascensore. Fecero quattro passi avanti e si trovarono davanti ad una spessa porta in acciaio. Non aveva finestre o maniglie ma solo un quadrante numerico al centro.
Il professore, che era stato informato preventivamente di quel sistema di sicurezza, aveva affermato che poteva aprirlo in due minuti o poco più.
Tirò fuori un cacciavite torx dalla tasca e svitò gli agganci della tastierina numerica. Tolto il primo involucro si trovò davanti a una miriade di piccoli cavi che partivano dai tasti e finivano in un circuito elettronico che ne controllava l’esattezza. Estrasse dalla tasca un accessorio un po’ particolare, una batteria da nove volt e due pezzi di filo di rame.
“Pochi sanno” disse mentre armeggiava con i fili e la batteria “che per aprire queste serrature basta far fare corto circuito al contatto. Ora io manderò una piccola scarica elettrica al circuito e vedrete il risultato.”
Mise i due fili che partivano dalla batteria in corrispondenza di due saldature del circuito. Si vide una piccola scintilla e si sentì uno scatto sordo.
“Bingo!”
La porta si aprì. Velocemente entrarono nella stanza e si trovarono di fronte ad uno spettacolo che non potevano nemmeno immaginare. Una stanza di oltre mille metri quadri completamente piena di hardware. La Pirotech aveva creato un supercomputer potentissimo e complicatissimo. Ma a loro questo interessava relativamente, dovevano trovare EVA.
La stanza era strutturata come una biblioteca: un corridoio centrale e gli scaffali messi ad un metro e mezzo l’uno dall’altro. I tre percorsero il lungo corridoio fino ad arrivare alla fine della stanza dove si trovarono di fronte ad un vecchio 8088.
“Eccola! Ci siamo ragazzi.!”
Il professore si mise subito a lavorare sul computer mentre Leo e C4ss4ndr4 cercavano la console di comando del supercomputer.
“Bravi! Non pensavo foste così efficienti” disse una voce familiare alle loro spalle
“Z3u5!” esclamò sorpresa l’indiana
“In persona. Mi fa piacere che ti ricordi ancora di me lurida traditrice!”
Il capo dell’Unità 731 si era fermato a pochi metri da loro. Teneva nella mano una beretta con proiettili da nove millimetri. Portava, come al solito un paio di jeans blu, la camicia nera con il simbolo della fiamma rossa con l’elettrone che girava attorno e un giubbotto dello stesso tessuto dei pantaloni.
“Devo dire che mi avete stupito, siete arrivati fino a qui senza attrarre l’attenzione delle mie guardie e dei miei sistemi di sicurezza. Questo mi fa pensare che non sono ancora perfetti come speravo. Quello che voi non sapete è che io sapevo che sareste arrivati oggi, quindi non è stata una sorpresa vedervi. Ho amici molto potenti, non potete fermarmi. Forse vi state chiedendo come ho fatto a saperlo…la cosa non vi interessa e non penso che ve lo dirò.”
“Oh, guarda chi si vede!” gracchiò Ebola nelle orecchie di Conti.
“Leo, tra qualche secondo spengo tutte le luci, avrai solo pochi attimi per agire, conta che le luci di emergenza si attiveranno dopo circa due secondi.”
Non appena AlphaCentauri ebbe finito di parlare la stanza piombò nell’oscurità.
“Ma che diavolo…” disse Z3u5 mentre si accendevano le luci di emergenza.
Quando la luce fu ripristinata, non erano passati che due secondi, il capo della Pirotech vide solo una testa che gli piombava sul petto. Conti infatti appena si erano spente le luci si era catapultato nella direzione di Z3u5 caricando come un toro infuriato il quale, non aspettandosi quella reazione, venne preso totalmente alla sprovvista e, non appena ebbe ricevuto la botta, cadde con il sedere a terra, perdendo la presa sulla pistola.
Conti con un movimento repentino prese il taser che teneva a portata di mano in tasca.
“Buonanotte Z3u5!” disse con un sorrisino beffardo mentre gli appoggiava l’arma sul fianco e premeva l’interruttore.
Il corpo della vittima fu scosso da un fremito mentre cinquantamila volt gli passavano nelle viscere e, dopo qualche secondo, cadde svenuto.
“Su ragazzi non abbiamo molto tempo prima che si risvegli. C4ss4ndr4, avvertì via radio gli altri.”
La ragazza obbedì immediatamente chiamando via radio Bellinger, il quale avrebbe preso tutti i provvedimenti necessari per la fuga.
Intanto Cecksy si era rimesso a lavorare su EVA, aveva smontato il case e stava staccando materialmente la grossa scheda madre, al quale, già da mesi era stata attaccata una grossa batteria affinché l’intelligenza artificiale potesse alimentarsi anche senza essere attaccata al computer, mantenendo le sue funzioni primarie; il computer era stato rimontato alla perfezione dopo che lui l’aveva staccato nelle Isole Cayman.
“Ok Leo. Io ho finito. Ora tocca a te e al tuo amico hacker.”
“Evviva! Ora mi diverto un po’.”disse Ebola.
Leonardo intanto aveva trovato il punto di controllo del supercomputer, che non era molto difficile da individuare in quanto era messo a pochi metri da EVA. C’era uno schermo di circa quaranta pollici con una serie di cifre che continuavano a scorrere. La tastiera era una qwerty normalissima, ma non sapeva assolutamente dove mettere le mani.
“Ebola, dimmi che cavolo devo fare!”
“Ascoltami e segui le mie istruzioni passo passo: schiaccia un tasto a caso.”
“Fatto. Sono nella shell di comando.”
“Fai un ping a questo indirizzo: 254.254.254.1”
“Fatto.”
“Bene, ora faccio tutto io.”
“Tutto qui?”
“Ma…dannazione…con chi credete di star parlando? Tra te e il tuo amico non so chi scegliere. Comunque ora per lavorare mi stacco dal sistema di telecamere e chiudo la comunicazione. Vi lascio soli. Buon hacking a tutti.”
“Ciao Ebola…buon hacking anche a te.”
“Non avete nemmeno idea della vendetta che mi prenderò su questi stolti.”